Il “perturbante” nella vita e nell’arte
Cari lettori, parlare del perturbante nell’arte e quindi anche nella vita è materia complessa e in certi punti ostica.
Allora, se la stanchezza di un giorno lavorativo vi rende disattenti, date forfait e ritornateci, quando avrete una disposizione d’animo più consono al ragionamento piuttosto ostico. E qui è il caso di dire: “Tanto non ci sente nessuno, dal momento che si tratta di leggere.”
Ma, a chi si sente di “resistere” dico: “Forza e coraggio inizio con la tiritera: il perturbante.” Parola desueta che neanche il Devoto-Oli riporta. Mah, forse il mio dizionario è un po’ datato, vado al dizionario Utet: niente anche qui. Altri vocabolari: niente.
È necessario, allora, andare a curiosare sui testi in mio possesso nella mia caotica libreria, di cui per la verità vado fiera, perché vuol dire che sono tra i pochi sopravvissuti che ancora leggono libri.
Tenete a mente, lettori sopravvissuti, che la nostra è la civiltà del “sapere”. Non esiste il “non sapere”, fateci caso.
Forse, sono rimasta solo io a non sapere niente, come dicono i miei nipoti, perché troppo anziana e di educazione diversa.
Questo, ridotto in concentrato Cirio, visto che sono al supermercato, è il “perturbante”, che il filosofo tedesco Shelling, con una di quelle parole che diventano un vero rompicapo per i disgraziati posteri, chiama Unheimlich (è una quisquilia la pronuncia...) che, in parole povere, sarebbe: tutto quello che deve restare segreto, nascosto, e che invece affiora. E figuratevi, diletti amici, se il primo strizzacervelli della storia, Freud, non si impadroniva della parola. Anzi, per rendere la vita ai “nipotini” suoi più difficile, si mise a scartabellare su mille dizionari etimologici e si accorse che l’aggettivo heimlich aveva due significati opposti. Il primo: familiare, domestico; il secondo: nascosto, occulto, pericoloso. Come far quadrare il rompicapo puta caso, tu riuscissi a pronunciare unheimlich: “un” credo che equivalga al nostro “in”: come cosciente-incosciente e hemlich che ha il senso di nascosto, occulto. Questo fenomeno della psiche, tradotto in bell’italiano, sarebbe “perturbante”, cioè qualcosa che “contemporaneamente” ci è estraneo e familiare, conosciuto e occulto, e che affonda le sue radici nel nostro passato, il quale, in ultima analisi, a volte, si incrocia col nostro presente.
Ma, lasciamo da parte le nostre creature, che niente hanno a che fare col perturbante. O forse sì. Se scombussolano le nostre giornate coi loro comportamenti stravaganti.
Riflettete voi. Sui vostri di figli, naturalmente.
Io l’ho fatto per una vita e non sono ancora approdata a niente. Meglio il buon Freud, perché, a furia di leggere i suoi scritti, forse qualcosa in zucca resterà; anzi, in queste mie parole, lui ci vedrebbe un conflitto tra l’inconscio e la coscienza, tra l’identità e la differenza e via strizzando il cervello mio.
Lettori cari, tutta questa lunga tiritera per dire che anche l’arte rientra nel perturbante. Fa parte, cioè, di quelle pulsioni che nella vita reale, ossia nella vita di ogni giorno, vengono per così dire soffocate, per essere sublimate, invece, in quella immaginaria, in una specie di gioco.
Infatti, fra arte e gioco, quel tipo di gioco, vi è una grande affinità, perché entrambi stanno a metà strada tra la fantasticheria e la realtà ed entrambi hanno bisogno di riferirsi a oggetti tangibili, che per gli artisti sono quadri, sculture, parole, note e via elencando.
Ma, voi, lettori, mi domanderete: “E come la mettiamo con l’arte surreale e poi con quella astratta, altrimenti detta informale?
Quest’ultima, pur non avendo immagini a figure, scaturisce ugualmente da una pulsione interiore, da una “perturbazione” psicologica, tanto che alcuni artisti si ribellano se vengono indicati come astrattisti. Essi vogliono essere designati come artisti concreti.
Avete presente ad esempio: “Alice nel paese delle meraviglie” o “I Viaggi di Gulliver” o qualsiasi altro romanzo del genere?
Tutte le immagini descritte sono in realtà generate da qualcosa che sfugge per un po’ al controllo della razionalità ed ecco allora, quando questo avviene, che appare una dimensione “altra” della nostra personalità, che adesso, solo apparentemente, ci sembra organizzata in modo incongruo e, invece, a sentire gli strizzacervelli di cui sopra, a riceverne un grande beneficio sarà la creatività. Infatti, il rapporto tra la parte razionale e quella irrazionale del nostro cervello ha rimesso tutto in discussione, chiamando in causa la benedetta “malattia” creativa.
Di conseguenza, il perturbante, quando viene a galla, è doloroso e inquietante, ma è anche eccitante, perché ci fa guardare le cose del mondo come se le vedessimo per la prima volta.
Quindi, lettrice mia, niente paura se, camminando per la strada, vedi un ragazzetto tatuato e ti sembra un Adone sceso da “cielo in terra a miracolo mostrare…” oppure tu, lettore mio, non farti prendere dall’angoscia, se vedi una sfitinzia saltellante e sculettante per la strada e ti sembra Venere uscita dalla conchiglia, come la dipinse il Botticelli. È il “perturbante” che si manifesta chiaramente e ti fa vedere la realtà in modo inconsueto.
Detto in parole ridotte al minimo, il perturbante è il nostro doppio, la nostra ombra che ci segue ovunque.
Lettori miei, vi ho stancato abbastanza? Spero solo di avervi dato i rudimenti del concetto di cui sopra. Verificate adesso voi cosa sia il “perturbante” in seno alle vostre esperienze.
Lidia Pizzo



